“Qua - dove questo livido più nero che azzurro, sembra il segno del nostro linguaggio più segreto.”
-P.P. Pasolini
Scrivo questo #spuntinofilosofico con un po’ di amarezza, quella sensazione di impotenza che ti assale quando la comunicazione con l’Altro sembra impossibile, quando ti sembra che non potrà mai avvenire che due persone possano davvero capirsi totalmente. È un argomento su cui mi sto documentando molto e che trattandosi di una cosa complessa e quotidiana come la Parola, è necessario anche che ci si sporchi nel pratico tutti i giorni. Perché è proprio così, la comunicazione sporca quelli che contemporaneamente tenta di unire.
I termini che usiamo in realtà sono gli stessi, ma allora cos’è che fa fallire il processo? Da dove nascono i fraintendimenti? Semplicemente dal fatto che ognuno di noi è un mondo a sé, con i suoi valori e le sue tradizioni e per quanto le parole siano le stesse, il significato cambierà radicalmente da persona a persona. Non il significato letterale, ovviamente, ma il significato “interno”, il senso, il peso che ognuno di noi da a quella parola o anche solo le sensazioni o i ricordi che ci evoca che, sembrerà strano, ma condizionano necessariamente il nostro sentire e di conseguenza l’atteggiamento con cui ci approcciamo al nostro interlocutore. Parlare, è agire.
C’è un modo per non cadere nella trappola del dono ambiguo del linguaggio? C’è un luogo in cui la comunicazione autentica è possibile, in cui incontrarsi e conoscersi davvero?
Secondo me si, e per me questo luogo è rappresentato dall’arte, dalla letteratura, dall’esperienza condivisa della morte ma in primis…dall’esperienza erotica. E oggi voglio parlarvi brevemente proprio della comunicazione che avviene nell’atto erotico, dal linguaggio autentico creato da due corpi; il quale però non si ferma al materiale ma riesce a scalfire aperture profonde anche nell’interno, per arrivare appunto a parlare di comunicazione autentica.
La premessa perché tutto ciò avvenga è, secondo me, l’essere consapevoli della nostra naturale discontinuità, incompletezza originaria che muove ogni nostra scelta e desiderio. Troppo spesso questa mancanza d’essere [come la chiamava qualcuno (Sartre)] tendiamo a cercare di colmarla attraverso gli altri, convinti che possano davvero risolvere la nostra carenza, inconsci che il più delle volte non facciamo altro che lasciarci attirare da attitudini o caratteristiche che vorremmo per noi stessi. O peggio, tendiamo ad avvicinarci a persone che semplicemente soddisfino le nostre necessità narcisistiche, come il sentirci belli o apprezzati.
Ma noi qui non stiamo cercando questo, non cerchiamo l’altra metà della mela né lo specchio specchio delle mie brame che ci rifletta un’immagine di noi stessi perfetta. No, noi stiamo cercando una comunicazione tra soggetto e soggetto e la condizione necessaria per ottenerla è liberarsi da qualsiasi mera tensione utilitaristica. Conoscere e comunicare con l’altro, al di là delle aspettative che possano sorgerci nei suoi confronti.
Quindi, tornando alla nostra consapevolezza di esseri mancanti, la comunicazione avverrà a partire dal reciproco riconoscimento di questo vuoto ed assenza, messo in gioco proprio nell’atto erotico, nel puro momento dell’erotismo. Sarà infatti la spinta insensata all’abbandono, scevra di utilità, che permetterà di liberarsi in un gesto totalmente incondizionato e generoso in un libero ed autentico dono di sé. È il momento di crisi dell’essere e del suo isolamento. Attraverso gli istanti di perdita nell’eros ci è consentito e possibile superare la separazione dall’Altro, nel quale sapremo ritrovare la nostra stessa “ferita” che, da causa di malessere diventerà “pretesto” comunicativo e creazione di un linguaggio del tutto nuovo e solo nostro.
“La nostra realtà non è dunque quella che noi abbiamo espresso con le nostre parole:
ma è quella che noi abbiamo espresso attraverso noi stessi, usando i nostri corpi come figure!”
Usare il “linguaggio della carne”, del corpo che sarà a quel punto “inequivocabile”, rendendo i nostri rapporti un vero spettacolo, comprensibile da qualsiasi spettatore anche senza aver detto nessuna parola.
Grazie, e spero che questo spuntino filosofico vi sia stato utile o almeno sia risultato interessante e….gustoso!
Alice
LA RICETTA
Involtini di pollo con crema di funghi e Philadelphia
ingredienti:
Fette sottili di pollo (due-tre a persona)
una confezione funghi (già tagliati ovviamente)
una confezione di Philadelphia
un’etto di mortadella
Procedimento:
1) Adagiate sulla fettina di pollo una fettina di mortadella e avvolgete il tutto partendo dalla parte di pollo più larga. Fermate gli involtini con uno stuzzicadenti che li trapassi da parte a parte.
2) Tagliate o trifolate i funghi e cuocete in padella con un po’ d’olio, In seguito aggiungete metà della Philadelphia e mescolate fin quando non verrà una cremina amalgamata.
3) Disponete gli involtini in una padella con un po’ d’olio e quando si sono cotti rosolate con un po’ di vino bianco da cucina (er Tavernello per intenderci). Aggiungete l’altra metà della Philadelphia, lasciatela sciogliere.
4) Aggiungete la cremina di funghi e rosolate ancora un po’ il tutto.
Servite e, se volete io e Nonna Adele abbiamo aggiunto delle cipolline sugli stuzzicadenti.